Economia Italiana degli anni ’20

Economia Italiana degli anni ’20

Premessa a partire dai bitcoin, ossia l’estremo attuale più spinto nell’ambito tecnologico in tutti i sensi.

In un vecchio portafoglio elettronico mi erano rimasti 25 bitcoin, del tutto dimenticati, perché frutto di un cambio monetario da inesperto che ero allora, quando, al tempo, erano spiccioli.
Per evitare che ci fossero conti truffa su cui operare speculazioni nel trading, in quel sito su cui ho ritrovato il mio portafoglio ti obbligavano a lasciare una quota minima in deposito, appunto 25 Bitcoin.
Io ne avevo comprati 100 a 30 centesimi l’uno e 75 li ho cambiati quando erano arrivati ad un valore importante, gli altri li avevo proprio dimenticati. Non erano per niente importanti rispetto all’enorme guadagno che avevo avuto in cambio al tempo.
Recentemente ricapito su quel sito quasi per errore, ma entro praticamente in automatico con username e password che aveva conservato il portachiavi del mio Mac (nel frattempo ho cambiato 3 Mac e mi sono portato dietro il portachiavi da allora – chi capisce di che sto parlando starà sbavando) e ritrovo lì questo mio portafogli, assolutamente sorpreso. In contemplazione per circa mezz’ora
Se non fosse stato per il portachiavi non sarei mai risalito alla password, perché i portafogli delle criptomonete non si resettano con la semplice email, serviva invece un codice di sblocco che ti consegnano all’inizio, che inevitabilmente dimentichi per sempre.

Perché sono rimasto a contemplare quei 25 bitcoin? Ti chiedi il perché?
Forse dovresti guardare il recente exploit di queste monete.

Alcune informazioni per capire meglio di che stiamo parlando.

Io – ti giuro – mi ero proprio dimenticato. Immagina la mia grande sorpresa. Ero totalmente all’oscuro di avere quel piccolo gruzzoletto e stiamo parlando di luglio scorso, dove valevano quasi 2.000 euro ciascuno. Per comprendere meglio la situazione bisogna pensare che il limite di fondo del conto oggi non è più di 25 bitcoin 😉
Mentre cerco di capire cosa farci, mi imbatto in un sito di Miner (vedi Wikipedia). In questo sito si dibatte di come “generare moneta dal nulla” – minandola – ossia ospitando con un complesso algoritmo di cifratura la replicazione dei portafogli elettronici e le relative transazioni, in un apposito scatolo grigio: la minatrice. In pratica ogni minatrice è una macchinetta collegata a … internet e niente altro.
Si, ha bisogno anche di corrente, tanta, ma questo è un argomento che non ci compete.
In parole povere la “minatrice” è definita tale perché è a tutti gli effetti la copia di una banca su internet per queste criptovalute. Lo scopo della minatrice è di ospitare i portafogli in modo inaccessibile per chiunque, persino per chi ha creato la moneta, e renderla così più forte da attacchi e – già impossibili – frodi.
Cripto da crypto, ossia informazioni sulle transazioni criptate e impossibili da leggere senza le opportune chiavi – che nessuno sa a parte la macchina nel suo bit più profondo.
Più macchinette ci sono, più replicazioni ci sono, più è sicura la moneta, più persone si fidano e la comprano, così aumenta sempre più di valore.
Il fatto di ospitare questa replicazione, consente alla macchinetta di automantenersi con le microcommissioni che riceve ad ogni transazione, oltre a generare un piccolo reddito per chi ne è proprietario.
In pratica ogni 500.000 transazioni – in base alle commissioni medie – si ottiene all’incirca un bitcoin. Esempio: se qualcuno dei portafogli che avete in carico compra un importo di 100 (euro o dollari che siano), si riceve in cambio da uno 0,00001 ad uno 0,000001 di commissione. 100.000 transazioni come queste possono dare da un centesimo o un bitcoin, a seconda della media degli importi. Chiaro che se capita tra i portafogli ospitati qualcuno che cambia un milione di euro in bitcoin – o da bitcoin ad un altra valuta – vedremo una commissione un tantino sostanziosa.

Ma facciamola breve, per chi sa di che sto parlando è già noia, per tutti gli altri esiste Google.

Dopo la sorpresa: l’azione!

Era agosto scorso, il bitcoin stava intorno ai 2.500 dollari ed ho convertito una parte di questi proventi inaspettati in macchine minatrici (di seguito macchinette/i) e messe in opera con diverse soluzioni.
Esempio. Ogni macchinetta costava circa 2.499 dollari. Una di queste oggi mi ha mandato una mail prima di morire. Sono andato al suo capezzale e sentivo uno strano rumore. A parte che mi lamentano un lieve aumento del consumo di corrente dove le ho installate ? – dai capita – il rumore proviene da uno dei nuovi scatoli grigi installati ad agosto scorso. La macchinetta, che assomiglia ad un gruppo di continuità o ad un NAS, ha fuso perché la ventola anteriore si è fermata. Se potessi sentire il rumore che fanno da accese queste attrezzature, capiresti perché può sfuggire il fatto che si rompano e l’elevato consumo di corrente spiega tutto quel casino di ventole.
Dopo 5 mesi e 4 bitcoin macinati (minati), mando in garanzia il primo dei 9 macchinetti acquistati. Anche gli altri 8 hanno macinato in media la stessa cifra. Quelli con più banda internet hanno prodotto di più, quelli con un canale più lento un po’ meno.

PP = piccola pausa: inutile che interrompiate adesso la lettura e che veniate a chiedermi prestiti, ho sperperato tutto comprando quote di un ospedale privato in una riserva indiana Navajo e acquistando una proprietà in territorio Hamish ?
Andiamo avanti fino alla fine della storia.
Ora. Contando i numeri qui sopra si potrebbe desumere che siamo giunti oggi ad un totale di 34 BTC più i 10 rimasti dai 25 iniziali che avevo, ossia, oggi potrebbero essere quasi 700.000 euro e arrivare al milione in pochi giorni. No, non è così. Parlo al condizionale perché nel frattempo è successo qualcos’altro.

Torniamo indietro a settembre. I macchinetti minavano da un mese. Avevo già ricavato quasi 7 bitcoin.
Poi un amico mi parla dei Ripple, un’altra criptovaluta emergente. Guardo. Sono a 0,20 euro. 0,18 dollari, il 15 ottobre ne compro 100.000 dollari. Nota bene, il bitcoin il 9 di ottobre era a 3.800 euro, ma poi il 15 ottobre arriva a 4.800 euro. Io avevo meno di 20 bitcoin all’epoca. Quasi 100.000 euro in tasca.
Lasciare lì tutto quel valore era rischioso, potevano aumentare come crollare, così li ho spesi tutti in una criptovaluta sconosciuta, il Ripple (XRP).
Solo un pazzo poteva farlo mentre c’era quella crescita esponenziale del Bitcoin.
Solo un deficiente poteva buttare via così i suoi soldi.
Oggi (fine 2017) questi Ripple sono arrivati al valore di 2,75 dollari, ossia i 100.000 sono diventati più o meno 1,3 milioni – in crescita!!
Una volta cambiato, il Ripple, è di nuovo sceso sotto quota 2 dollari. Oggi si attesta su un euro e 70 circa, altalenante. Ma la sua crescita è praticamente garantita, quindi un buon investimento sia a lungo che a medio termine.

Morale della storia.

Molto probabilmente c’ho sempre le pezze al culo, quello che ho scritto potrebbe non essere vero, ma rappresenta comunque ciò che potrebbe essere successo in meno di 6 mesi. Questo perché effettivamente tutte le date e gli importi combaciano con la realtà.
Così vanno le cose, mentre qui ci si accapiglia per il più profondo nulla, intorno a noi c’è chi [si] arricchisce perché sa come usare un computer.
In teoria oggi siamo giunti al paradosso che consente ad un essere umano di stare chiuso in una stanza a comprare e vendere monete virtuali per tutto il giorno, consumando risorse senza contribuire alla crescita dell’umanità, pur rendendosi autosufficiente e anzi florido di solvibilità e risorse.

Cosa ci ha portato a questo è presto detto.

Mentre in molti paesi d’Europa ti pagano per lavorare ma anche per formarti, qui da noi quasi non ti assumono neppure, la disoccupazione è stabile a valori incredibili. Se ti assumono sei probabilmente sottopagato rispetto al costo della vita, o peggio, spesso non ti pagano il reale valore del tuo lavoro ma cercano escamotage come i cococo, i voucher, la formazione e il tirocinio, nel contempo ti chiedono l’esperienza, la responsabilità, il coraggio e altre doti che uno intelligente metterebbe a frutto per se stesso, non certo per far raddoppiare il bilancio ad una azienda che non sa neppure cosa siano gli incentivi ed i benefit. Non è con il panettone e la bottiglia o il regalino a Natale che compri una professionalità, della fiducia e serietà.
Indomma. Checché ne dica la Costituzione al primo articolo, oggi in questo paese lavorano in pochi, pure sfruttati, tartassati e umiliati.
Questo è inutile che te lo dico. Già lo sai.

Ai paradossi come si risponde?

Andiamo oltre ad analizzare le differenze tra il presente del non luogo informatico e quella realtà che ben conosciamo in Italia.
Qui da noi il computer – per gli imprenditori così per i politici – non è la costante di uno strumento per arricchire e produrre reddito, bensì spesso un modo per rubare ai programmatori o fare l’ennesimo nero. Una scatola in cui mettere software copiato e posizionarci davanti un incapace a premere i soliti 2 pulsanti mentre gioca a solitario.
Può essere anche l’opportunità per metterci un sistema gestionale di merda, guadagnarci una tangente e rubare soldi pubblici mentre la sanità si sfascia, la scuola è già sepolta da decenni di evoluzioni, i tribunali si perdono centinaia di migliaia di cause per via della lentezza e della burocrazia che potrebbero spalmare con dei computer e dei programmi seri, così via con ogni esempio informatico del nostro paese.
Dall’e-governement, al sistema di calcolo dei redditi, passando per i documenti elettronici o il voto elettronico, così per decine di altri esempi che possiamo leggere quotidianamente, nulla di tutto ciò che c’è di buono nell’informatica è stato mai implementato in Italia.

Mentre nel mondo puoi prenotare qualunque cosa online e vederla recapitata la mattina dopo (3 ore lavorative più tardi al massimo), qui da noi invece l’USL si ferma a fine dicembre 2017, perché abbiamo cambiato l’ennesimo software proprietario (leggi: di proprietà di qualcuno meno che dei cittadini).
Mentre in altri paesi usano software libero, sicuro e adattabile dagli stessi dipendenti statali, noi in Italilandia ce lo facciamo vendere chiuso, sigillato, nonché immutabile nel tempo, così che ogni 5/10 anni siamo “costretti a cambiarlo per adattarsi alle normative e alle nuove esigenze” (leggi: favorire un nuovo affiliato al partito o concludere uno “scambio alla pari”), nonostante abbiamo pagato profumatamente ogni anno licenze e aggiornamenti.

Vedi caro cittadino tradito, se avessimo tempo e disponibilità per sviluppare idee fra noi, sono convinto che nel tempo di una generazione qui potremmo sostituire il sultanato del Brunei a ricchezza pro-capite. Purtroppo al massimo possiamo concederci un’aperitivo cazzaro mentre i veri cazzari vanno avanti a modifiche al RUE e vendita di loculi e parchimetri, autovelox e photored, aumento delle tasse, tagli e riduzione dei servizi, posticipo dei mutui di enti e partecipate, sulle spalle dei millenial e dei loro figli, tradendo così tutti i sacrifici dei nostri genitori, dei nostri nonni, di tutti i nostri avi per 4 generazioni.

Più di un secolo di investimenti e know-how (il saper fare), buttati in mano a società di dubbia utilità sociale.

Cosa c’è di utile nel pagare fior di milioni per ogni città ad una società quotata in borsa, per tutti i servizi di base del cittadino a partire dai rifiuti passando per la cura e la manutenzione dell’acqua, fino alla gestione del verde pubblico, servizi mortuari, ecc.. Oltretutto un’azienda che distribuisce utili borsistici a chiunque abbia i soldi per investirci, magari in uno stato straniero, invece di rendere disponibili risorse, competenze e introiti nei territori coinvolti dall’operato di questa società.
Fosse lo stato ad incamerare questi introiti potrebbe forse ridistribuirli, ma per come è trasparente oggi la questione, ce ne tornerebbero indietro meno della metà.
Siamo a questo punto, traditi da noi stessi e ormai ad un bivio irrecuperabile, perché queste società di servizi intanto sono divenute proprietarie di tutti gli impianti e quindi sfrattarle sarebbe praticamente impossibile.
Nel frattempo entropizziamo talmente tanto carburanti e rifiuti, che il cibo più inquinato risulta essere il latte materno, tanto che un neonato ha una quota di inquinanti tali da richiedere 150 anni di vita per smaltirli.

Nonsensi generalizzati, frutto dell’opera di decenni di politiche senza visione fatte da incompetenti e lobbisti.

Siamo fermi ad Happy Days come mentalità, tanto che la politica ha cercato il nostro Fonzie ed ha persino pensato di trovarlo in Renzi e ce lo ha riproposto a pranzo e a cena fino a che non siamo stati convinti a votarlo senza alternative.
Questo schifo di tattiche dittatoriali, mentre c’è chi all’estero macina da decenni ed oggi si ferma a guardarci, sorridendo, e mormora: ah, italians!
Infatti qui, in Italilandia a malapena sappiamo usare il telecomando, figurarsi la tecnologia. Anzi, proprio non lo sappiamo usare, perché nessuno pigia quel cavolo di tasto rosso e poi esce a respirare!

 

Siamo consumatori convinti, passivi e sottomessi, certi che non esista altro obbiettivo nella nostra vita.

Ma del resto, dove potresti andare stasera se volessi contribuire a questa società attivamente? Se escludi un centro commerciale, una cantinetta, la partita di calcetto o il classico luogo di ritrovo “spendi e fingi di divertirti” del sabato sera e la pizzeria della domenica, a parte qualche associazione di volontariato, non esiste nulla che possa permetterti di imparare o esprimerti. Se lo vuoi, devi spendere dei soldi che non puoi permetterti di avere perché sono frutto di un sistema corrotto di cui fai parte, a circolo chiuso. Oppure potresti farlo indebitandoti, ma questo è un discorso diverso, che esula anche dalla moneta e diventa debito familiare e lavorativo oltre che sociale.
In tutto questo e al solo scopo di aiutarti il governo ha deciso – checché ancora la Costituzione abbia da dire tutt’altro – di prelevare il 60% dei tuoi introiti e lo fa benissimo. Tanto che avrai dei dubbi e ti perderai nei conti per dimostrare il contrario, perché nelle tue somme potrebbe non esserci solo il prelievo alla fonte e la tassazione di consumatore obbligato. Se poi il Governo un giorno decidesse di spendere questo 60% interamente per lo Stato, avremmo in conseguenza una ricchezza inimmaginabile in esubero, ma non è questo che ci serve perché non sapremmo come utilizzarla e andrebbe – a pioggia – ai soliti noti.
A noi serve che un governo si sostenga con il 30% dei nostri ricavi e ci consenta di sopravvivere e crescere con il restante 70%. I cittadini non sono idioti e la massa trova naturalmente il suo scopo senza che la politica ci dica cosa e come farlo. Invece di questo, ci ritroviamo con dei buchi, delle voragini, imperi economici basati sul [dis]servizio pubblico, soprattutto sulla spesa pubblica che poi è pure tutelata dalla legge.

Come ovviare a tutto questo?

Semplice non è.
Esistono diverse formule e io non devo vendertene nessuna, ma da analista programmatore che sono ho individuato quello che ritengo vitale per la nostra società.
Il vecchio adagio dei genitori che ti spingono a studiare resta sicuramente il primo passo. L’importante è di non sedersi su quello che già si sa. Mai dare nulla per scontato e mettersi sempre in discussione. Studiare, formarsi, continuamente, dovrebbe essere una regola generale. Dal leggere i quotidiani, i libri a imparare nuove attività, sport, hobbies o comunque percorsi formativi atti a realizzare un accrescimento personale. Conoscere gente e cultura, evitando di chiudersi in casa con il proprio scettro [il telecomando].
La saggezza dei nostri genitori vorrebbe delle scuole che poi portassero ad un processo di integrazione lavorativo i nostri ragazzi, sin dal primo giorno. In realtà è tutto il contrario, la scuola vende solo i migliori e genera mostri incapaci di reagire in un mondo di opportunità. I nostri ragazzi oggi escono spenti, perché conoscono la realtà del mondo, ma la scuola non li ha preparati ad approfittarne. Anche qui le eccezioni confermano i rari casi di successo, che comunque si esprimono – chissà perché – meglio all’estero che nel nostro paese.
Sono obiettivi che ognuno di noi dovrebbe poter coltivare liberamente, mentre invece siamo ormai in quel circolo vizioso che ci vede concentrati tutti insieme negli stessi istanti e negli stessi posti. Traffico, centro commerciale, palestra, ecc..
Una delle prime azioni possibili nella nostra situazione potrebbe essere lo sconvolgimento attuale della nostra economia. Visto che ci siamo costretti a mobilità e commercio, quindi inquinamento e di nuovo inquinamento, ma soprattutto tanti scarti e materie prime seconde, la logica conclusione del primo intervento sarebbe quella di sostituire i prodotti utilizzati dall’importazione con prodotti creati interamente qui e rivenduti anche all’estero. Recupero, riciclo e riuso, dovrebbero essere voci di bilancio, mentre invece oggi noi vendiamo all’estero i rifiuti “sporchi” senza trattamenti, mentre consegnamo a società quotate in borsa questi rifiuti gratuitamente, invece di creare materia prima seconda.
Questi sono esempi, ma rendono l’idea della situazione di stallo in cui ci troviamo. Informaticamente questo si chiama loop e solitamente tende all’infinito.
Altro esempio. Esportiamo la plastica prodotta dalle bottiglie usate e poi ricompriamo quelle bottiglie trasformate all’estero, che siano di nuovo bottiglie, o trasformate in panchine per i nostri parchi, aree giochi per i nostri figli, maglie di pile, ecc.. Nessuno, poche rare eccezioni, può in Italia investire per creare economia da questi materiali, sia per via della tassazione che per via del know-how. Per farlo infatti dovremmo comprare dall’estero macchine e sapere, oltre che organizzare ex-novo una filiera concreta.
Ancora oggi non abbiamo una raccolta rifiuti funzionante ma deleghiamo ad ogni regione il suo particolare piano rifiuti.
Ad esempio vediamo spesso litigare Roma con qualcuno sui media in merito ai rifiuti. La politica ci sguazza, ma dimentica che il piano rifiuti di Roma deve sottostare al piano regionale del Lazio. Una non-opera contro un partito politico ad opera dello stesso partito di incapaci.

Abbiamo le competenze per uscire da questo limbo?

Tutto è possibile, basta volerlo, solo che ad oggi mancano alcune conoscenze: ve l’immaginate computer e cellulari prodotti in Italia? Ecco!
Servono investimenti ingenti nella scuola e questo non è certo un processo veloce: ve l’immaginate automobili prodotte in Italia? Come? Già le produciamo? No, sbagliato! Qui in Italia le automobili le assembliamo perché i telai sono creati in Francia, le portiere in Spagna, i vetri e i motori in Germania, gli allestimenti provengono da decine di paesi diversi e solo in rari casi sono aziende italiane ad avere “brevetti e fucine”.
Quindi servirebbe tutto un processo di analisi e sostituzione dei prodotti. Un lento incedere di errori a cui non abbiamo partecipato negli ultimi 50 anni, limitandoci, da ricchi e obesi che siamo diventati, a comprare da chi sapeva come fare le cose. Non bastasse abbiamo esportato tutta la nostra esperienza e conoscenza, tanto che oggi all’estero il prodotto italiano è lì delocalizzato.

Perché dovremmo fare tutto questo?

Se lo scopo della vita può anche essere il continuo miglioramento, nelle ultime generazioni abbiamo solo accumulato tecnologia, di cui però l’Italia come abbiamo visto è padrona di ben poco.
Come nel caso delle criptovalute dell’esempio all’inizio di questo testo, sappiamo che l’Italia non vi partecipa per altro che per il “consumo”, se non che il solito approfittatore italico che ne ha registrato i diritti 😀
Così per i cellulari e i conseguenti smartphone, l’Italia ha ben pochi affari in merito, se non quello dell’importazione e relativa svalutazione, sebbene all’estero siano molti gli italiani impegnati nel processo produttivo.
Così avviene per moltissimi prodotti, dall’agroalimentare all’abbigliamento che sono di firma italiana, ma spesso provenienti in ingenti quantità dall’estero. Qui abbiamo il know how, ma pochi investimenti se non al consumo.
Sono tanti altri gli esempi che vanno dall’industria all’artigianato, dove abbiamo anche aziende leader in Italia, ma che per la maggior parte compriamo dall’estero.
Per fare un esempio chiaro, dove pensi che abbiano inventato l’automobile più innovativa e performante del secolo? In Italia? No, in Croazia!
Quindi, cosa sta succedendo oggi? L’economia italiana degli anni ’20 dove sta andando? Semplice, siamo diventati perlopiù consumatori, quella TV sempre accesa ha fatto il suo effetto.

Se tutti comprano noi cosa vendiamo?

Molte aziende in Italia comprano prodotti esteri, eventualmente li trasformano, li rivendono sul mercato internazionale, se non addirittura esternalizzano la produzione in paesi esteri in cui la forza lavoro ha meno pretese e tutele, quindi costa relativamente meno. Il trasporto pertanto costa meno accentrando le logistiche. La recente evoluzione di FIAT in FCA che investe miliardi all’estero e non più in Italia è un segno chiaro di questo trend. Siamo diventati da paese di naviganti e genio diffuso, in mastri noleggiatori, trasformatori di materie seconde, con poche eccezioni a confermare la regola.

A livello locale stiamo perdendo tutti i benefit.

Il turismo italiano benché ricco di risorse non viene sfruttato adeguatamente, non c’è un’offerta competitiva quindi la domanda cala. Nel frattempo le risorse marittime sono allo stremo, il pesce è sempre meno ed i trasporti sono al minimo indispensabile, nel frattempo abbiamo autorizzato le estrazioni minerarie proprio lì davanti alle nostre coste turistiche.
Il costo dei carburanti e la tassazione sono logicamente strozzanti di tutto ciò, perché se la nostra economia è così aperta sarà logico che molti introiti si spostino all’estero, ma nel contempo le spese dello stato restano locali, anzi con l’ingresso nell’area euro sono sicuramente aumentati obblighi e relativi costi.
Le materie prime scarseggiano da sempre, al punto che l’Italia ne produce più che altro come scarti che poi vengono inceneriti. Guadagniamo quindi inquinando perché bruciamo i milioni di tonnellate di rifiuti che non esportiamo quando differenziati correttamente, un controsenso, perché poi importeremo le medicine che – anche queste – non sono prodotte qui. Ci informano che gli inceneritori non inquinano, che dai camini non esce nulla, ma con un minimo di buon senso e la legge di conservazione della massa, sappiamo che se non esce dal camino allora così quei veleni saranno nelle ceneri (che ci ritornano come cementi e bitume, fertilizzanti e mangimi) oppure nei minerali usati dai filtri (non oso immaginare dove finiranno quelle calci ricche di diossine e furani).
Idem le proprietà locali stanno deprezzandosi, svalutando ciò che era eccellenza, mentre intorno a noi – nei paesi limitrofi – cresce l’esperienza e la conoscenza, qui noi ci siamo seduti al nostro tavolo del “consumo inconsapevole”.
La prova è anche nella cucina italiana, che ormai all’estero è stata esportata, ma soprattutto esternalizzata, perché prodotta in loco.

In sintesi: ciò che ci rimane da fare.

Ciò che ci rimane da fare è crescere, ma non quella crescita che auspicano gli economisti del consumo, bensì una crescita interiore di ciascuno. Quel qualcosa che oggi manca e che ci permetterebbe di sfruttare le risorse che abbiamo, sia per produrre nuove economie esportabili che per generare grandi invenzioni che rivoluzionino i mercati esistenti. Questo pagherebbe nel medio lungo periodo anche come ritorno di conoscenze, indotto e quindi maggiore economia relativa.
L’altro punto chiave è la tassazione che dovrà essere commisurata – Costituzione Docet – all’effettivo beneficio all’economia relativa.

Il problema sarà solo nel fatto che i grandi signori del controllo della sovrappopolazione non possono consentire ciò in un paese come il nostro, notoriamente industrializzato, sovra-cementificato e sovrappopolato, quindi servirà una chiara politica internazionale di sviluppo che ci dia la libertà di crescere senza ostruzioni di carattere economico.

Quale forza politica oggi è in grado di raccogliere queste sfide?

Inutile sforzarsi, gli unici vicini a queste idee sono appena diventati un partito a tutti gli effetti.
Comunque vada, viva l’Italia!

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